Imagine

Temporali a domicilio.

Se c’è una cosa che mi ha regalato Torino è la pioggia.
Di quella fitta, che quasi non ci vedi attraverso, che incolla i vestiti alla pelle e rende i passi pesanti e i pensieri più limpidi.
In questo cielo mai sgombro, mi ritrovo a inventare contorni di storie impossibili; eppure restano, appese ad altezza di mano, proprio la mia, così piccola e incerta.
Se c’è una cosa che mi ha regalato Torino è la risata leggera.
Quella che ti fa mordere le frasi nel mezzo e tira dentro anche chi ascolta.
Ci sono parole che danzano all’unisono, incastri semplici che potrebbero andare a finire malissimo, o peggio, non finire mai.
Ci giriamo attorno da quanto, ormai? Convinti che basti non chiamare le cose con un certo nome, per tenerle a bada e non farle traboccare dalla tazza piccola e colorata in cui ci illudiamo di poterle contenere.
Ridiamo e ridiamo, facendo finta di non sentire, di non sapere, di non volere, in questa casa già allagata per metà.

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“I had a dream I got everything I wanted. Not what you think, and if I’m being honest, it might have been a nightmare…”

In fondo che cosa ti aspettavi?
Le tazze sporche di caffè, addormentate nel lavello? I piedi freddi sotto al plaid? I segreti stropicciati?
Roba da prima, da wow, mica da tutti.
Ma poi tu ti fidi davvero, ancora, dei tuoi brividi? Dopo tutte le volte che hanno scambiato la paura per vento d’Inverno?
Non è colpa di nessuno, se dopo tutti quei chilometri ci ritroviamo di nuovo al punto di partenza, identici a tutte le altre volte, con il sorriso forzato di chi racconta a sé stesso che se lo aspettava, che va bene così.
È che camminavamo su strade panoramiche che in realtà erano circuiti, e prima o poi avremmo dovuto capire che la fine era già decisa dall’inizio.

Ma che pretendevi?
La soluzione? La svolta semplice? Il riposo senza puntare la sveglia?
Come se ne fossi in grado, poi. Come se lo volessi sul serio, o sapessi gestirlo.
Non c’è ascolto, figuriamoci comprensione. Continui ad aggiungere strati colorati per confondere e nascondere e proteggere la tua pelle bianchissima dalle dita sporche con cui prova ad agguantarti il resto.
E lo sai che così ti perdi anche le carezze, i lividi, le impronte.

Ma in fondo che immaginavi?
La resa equa? I piani ben riusciti? Una finestra con vista sul finalmente?
Roba da innamorati, da matti, da non adesso e forse mai più.

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Ormai…

…torno qui solo ed esclusivamente per spammare le cose che faccio nella vita reale. Il che non è neppure così male, in fin dei conti.

Nuovo singolo e nuovo video per la mia band, gli ellis’!
Si intitola “Marcore” (che dovrebbe essere una fusione tra il nome Marco e la parola hardcore, ndr), è il secondo singolo estratto dall’EP “…thought it was longer!”, co-prodotto dalla Scatti Vorticosi Records (lo trovate qui: http://www.soundcloud.com/ellishc) ed è breve, conciso, folle e insensato, come è giusto che sia.

 

Piaciate, commentate, condividete, fatene quello che volete!

(Magari un giorno tornerò a scrivere anche altro, qui. Ma non è questo il giorno.)

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A volte ritornano (ma solo per spam).

Non farò neppure finta di voler scrivere un post sensato o di voler riprendere in mano questo povero blog abbandonato a se stesso, perché tanto è ormai chiaro a tutti che io stia attraversando un momento della vita in cui scrivere delle mie faccende su uno spazio virtuale non sia più nelle mie corde. Per un milione di motivi  e per nessuno, forse.
Semplicemente, sono proiettata verso orizzonti diversi.

Uno di questi è la musica, come da sempre.
Motivo che mi ha portata qui, oggi, per spammare senza vergogna anche su WordPress il primo video ufficiale della mia band di cui avevo già scritto tempo fa, gli ellis’.

Il video in sè è molto semplice, lo abbiamo girato in una sera caldissima di agosto e non racconta nessuna storia. Ci siamo noi che fingiamo serietà, un sacco di palloncini e tanto movimento. Punto.
Ci hanno un po’ costretti a farlo gli omini fantastici che stanno dietro a quella realtà ormai storica che è la Scatti Vorticosi Records, un’etichetta indipendente con base a Torino, che crede un sacco nella musica nuova e la sostiene come può.
Abbiamo registrato un piccolo EP di prossima uscita che avrà il loro marchio in copertina e insomma è una bella avventura e ci stiamo divertendo,

Eccolo qui, se ci piaciate/commentate/condividete ci fate un bel regalo!

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Appello.

Ricordo i bei (?) tempi in cui scrivevo continuamente su queste pagine virtuali, riversando sui vostri poveri monitor una valanga di lagne e cose di nessunissima importanza per alcuna specie vivente.
Eppure.
Eppure alcuni di voi mi volevano perfino bene, si complimentavano per la mia illimitata capacità di fingere talento in qualsivoglia disciplina (ci sono quelli che sanno fare un po’ di tutto, no? Ecco, io so fare un po’ di niente, per intenderci. Ma con sicurezza, ché l’apparenza è tutto nella vita.) e addirittura interagivano.
C’è stato perfino chi si è lanciato nella pericolosa impresa di collaborare attivamente ad un progetto con me (firesidechats, facciamo pure i nomi.), non so se mi spiego.
Insomma, cose di una certa levatura, via!

Bene, è proprio a voi incauti che mi appellerò oggi.
Se siete ancora lì, da qualche parte nel vasto webbe, nascosti nelle vostre stanze in penombra (è Inverno, la luce è ancora poca, thank God.) o in un luogo pubblico ma con gli occhi saggiamente incollati allo smartfòn per evitare ogni interazione umana… fate un bel gesto.

Cliccate qui:

http://www.soundcloud.com/ellishc

e andate ad ascoltare la demo (completamente autoprodotta, ndr) della mia band, i mirabolanti ellis’ (rigorosamente in minuscolo e con l’apostrofo DOPO la esse, diffidate dalle imitazioni.).
Almeno in onore dei vecchi tempi, dai.

E poi abbiamo un procione zombie in copertina, basterebbe già questo, no?
Ah, no?
Vabbé.

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Lo so che…

…questo post dovrebbe iniziare con una serie di improbabili scuse per giustificare la mia assenza degli ultimi millemila mesi, ma in realtà non me ne frega niente, quindi opterò per un atteggiamento vago e disinvolto, procedendo ad un semplice elenco di coseaccaso che serve più a me che a voi, ché ormai sono anziana e mi fa bene scrivermi le cose.

  • Sono in ferie dal lunedì prima di Pasqua e tornerò al lavoro solo il prossimo lunedì. Due settimane tonde tonde di nullafacenza (quasi) totale che, in parte, mi sono state imposte per questioni logistiche.
    Se vi state chiedendo se io stia impiegando questo tempo prezioso per portare a termine tutti i progetti a cui non posso dedicarmi quando lavoro… ah! Siete proprio degli ingenui! Naturalmente spreco buona parte delle mie giornate a recuperare i settecento episodi arretrati delle serie TV che seguo, bevendo litri di tè. In pigiama.
  • Ad essere onesta, ho iniziato il lungo periodo OFF con un doveroso quanto necessario ritorno nella mia amata, unica e sola London.
    Pochi giorni e molte emozioni contrastanti, ma alla fine non mi sono gettata nel Tamigi, come invece temevo andasse a finire, per cui posso considerarlo un successo.
    Ho avuto momenti di disperazione totale, lo ammetto, ché Londonsicklastsforevah, lo sappiamo tutti, ma mi sono consolata ingozzandomi con i magici rainbow bagels e la vista dal 32esimo piano dello Shard mi ha spento i pensieri per un bel po’ (nonostante le occhiatacce delle cameriere dell’Aqua che mi hanno sicuramente scambiata per una barbona, quando ho ordinato la cosa meno costosa di tutto il menu, quasi piangendo lo stesso per il prezzo.).
    Sono giunta alle ennesime conclusioni sulla mia benedetta vita, ho spinto via le lacrime sul sedile di un bus e sono tornata qui sana e salva, dopo diciottomila ore di viaggio a causa di vari imprevisti.
    Bene così, per ora.
  • Ho deciso che i miei capelli devono tornare arancioni. Ma potrei cambiare ancora idea, prima di quel giorno.
  • La prossima settimana inizierò a fare qualche presentazione di “Una specie di ragazza”, il che va un po’ contro le mie convinzioni. Un pittore espone i propri quadri, un musicista suona i propri pezzi… perché diavolo uno scrittore deve PARLARE dei suoi libri? E’ una cosa che mi infastidisce enormemente, mi chiedo perché alla gente debba fregare qualcosa di ciò che ho da dire. Leggete il libro, punto.
    Eppure è la sporca legge del marketing che me lo impone. Ossia, la gente è troppo pigra per cliccare su “aggiungi al carrello” su un qualunque store online e se non gli preparo un tavolino con su i libri e dietro la mia faccia imbarazzata non comprerà mai il romanzo ma continuerà a chiedermi imperterrita “Ma lo voglio leggereee! Come faccio??”.
  • La cosa positiva, in tutto ciò, è che ne farò anche una a Roma. Di presentazione, intendo. A fine maggio. Insomma, Nana e Debh (anche se ormai fai finta di non essere più romana), ESSETECI please, ché in realtà è tutta una scusa per (ri)vedere ggente!
  • A proposito di vedere ggente, dopo mirabolanti disavventure, tempeste di neve, epidemie mortali e sfighe di varia natura, HO INCONTRATO FIRESIDECHATS nella ridente Torino e lo posso dimostrare! Egli esiste, nonostante io non ci credessi molto. Ho le prove fotografiche (che userò per ricattarlo da qui all’eternità). Sono cose belle, anche se è un po’ snob col caffè. ma nessuno è perfetto.
  • Per la prima volta nella Storia delle Pasquette, ho trascorso una Pasquetta davvero figa. Nonostante la dirompente Primavera piemontese si sia manifestata in tutto il suo grigio splendore, minacciando di mandare tutto all’aria fino all’ultimo minuto. Insieme ad una decina di persone (mia band, band di M. e rispettivi consorti) ho messo su un palco improvvisato nel “giardino” (le virgolette sono d’obbligo, ve lo assicuro. E’ più un mezzo bosco.) della casetta di campagna dei genitori di M., in mezzo al nulla (un luogo che su google maps non esiste, per intenderci. Perfetto covo per un criminale.). Abbiamo montato una batteria, sparso qualche amplificatore, casse audio e microfoni e poi via al casino, per tutto il giorno, senza dar fastidio ad anima viva, essendo tra i campi.
    Poteva essere l’inizio di un brutto film horror, mi aspettavo che qualcuno andasse a fare pipì tra gli alberi per non tornare mai più, o che dei ghiri zombie ci facessero a pezzi, ma invece niente, solo tante cose buone da mangiare (che sto ancora pagando a caro prezzo, essendo marcia dentro.) e un sacco di musica, compresa una cover di Ricky Martin. Sì, avete letto bene.
  • Comunque la mia nuova band (r)esiste ancora, abbiamo qualche pezzo nostro e prima o poi spero di riuscire a suonare di nuovo in giro, perché è l’unico contesto in cui io riesca a divertirmi senza vergogna pur essendo al centro dell’attenzione e, insomma, non è roba da poco per una che si fa problemi anche a starnutire in pubblico.
  • Ho ricevuto 14 libri in regalo, tra Natale e compleanno, e gli unici 2 che mi siano piaciuti davvero sono quelli che non facevano parte della mia wishlist. Inizio a dubitare della mia stessa conoscenza dei miei gusti, a questo punto. M., in compenso, sembra conoscermi benissimo e non sbaglia un colpo. (Però dice anche che, forse, sono io il problema, e non i libri. Ché magari sono in un periodo NO, libristicamente – parola che esiste perché lo dico io – parlando e quindi qualunque libro mi sembra un po’ meh.)
  • Sono povera e la cosa mi disturba parecchio. Ho gusti costosi, io!

Voi come ve la passate? Leggerei volentieri i vostri elenchi!

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Una specie di notizia.

Un po’ di tempo fa avevo scritto proprio qui la parola FINE in riferimento ad un mio certo romanzo.
Era stata una piccola conquista personale, perché nel mio passato c’è una storia non simpatica che vede come protagonista la me adolescente alle prese con editori ambigui, parenti, paure e tutta un’altra serie di cose che mi sono portata dietro e dentro per anni.
Fino alla scorsa primavera, almeno.
Quando ho deciso di esorcizzare la cattiva esperienza con una uguale e contraria, lanciandomi di nuovo in una piccola avventura editoriale, non pensavo che sarebbe stato così semplice, per la “nuova me”.
Beh, a quanto pare lo è.

Ieri, quel romanzo è uscito ufficialmente, e poterne parlare a voi, qui, mi fa sorridere.
Questa è la copertina (bellissima, scattata da Clotilde Petrosino, una straordinaria fotografa che vi consiglio di seguire ovunque. Instagram, Facebook, Tumblr, sbizzarritevi!) e quella è la trama. Se vi incuriosisce, potete acquistarlo direttamente dal sito ufficiale di Eretica Edizioni, oppure andare ad ordinarlo in una qualunque libreria fisica, a seconda delle preferenze.
In ogni caso, se doveste farlo, spero di avere anche i vostri commenti, dopo, belli o brutti che siano, ché io SUL SERIO non mi offendo per nulla, in queste cose.

Miao.

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Quel certo periodo dell’anno…

Ogni anno, durante la famigerata notte di Halloween, mi accadono le seguenti cose:

  • Mi ritrovo addosso un’influenza epica che mi rovina la serata;
  • Attendo fremente la mezzanotte per sentirmi finalmente autorizzata a scatenare la mia più oscura mania…

E poiché i lettori di questo blog sono sempre i soliti da quando l’ho aperto (più o meno, dai), sapete tutti di cosa sto parlando…
Sì, proprio quello. Esattamente quella cosa lì… IL NATALE!

[Momento dedicato ai lettori nuovi.]
Perché io sono una di quelle persone che a luglio, alla prima casuale folata di venticello vagamente fresco, si mettono a fantasticare di maglioni con fiocchi di neve applicati;
una di quelle persone che nell’armadio hanno più decorazioni natalizie che vestiti;
una di quelle persone che conoscono a memoria le battute di “Mamma ho perso l’aereo” (ma anche di molti altri film a tema);
una di quelle persone che provano DAVVERO più gioia nel fare regali agli altri (cercarli, sceglierli, incartarli, consegnarli) che nel riceverli.
E sì, sottolineo “una di quelle persone”, perché non sono sola, cari miei, il mondo è pieno di piccoli Nonsochì sempre pronti a mettere bastoncini di zucchero nei cannoni del Grinch di turno.

Insomma è Novembre e l’unica cosa che ancora mi trattiene dal tirare fuori il mio enorme albero di Natale dallo scatolone sotto al letto (le cose importanti vanno tenute a portata di mano) è la grande quantità di lavori ancora da fare in casa.
Ultimamente sono stata colta da una furia creativa che ha fatto molte vittime: mi sono messa a dipingere qualunque cosa presente in casa, trasformando librerie, mobiletti, vecchie cassette della frutta, scaffali e cose random in elementi d’arredo coloratissimi, giusto per sottolineare ulteriormente l’atmosfera da “qui è esploso un arcobaleno” che già si respirava quando abbiamo messo piede stabilmente nell’appartamento.

E’ un Autunno pieno di malanni, questo. Pieno di idee e sogni ad occhi aperti, anche. Pieno di problemi quotidiani, pratici, fastidiosi, che tuttavia riesco a scacciare con una sola mano, ormai, ché ho imparato quanto io possa e voglia essere positiva, in questo anno quasi finito.
Quasi quasi torno rossa sul serio, per celebrare tutto il rosso che sta per arrivare.

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Soltanto parole.

Il respiro freddo dell’Autunno è venuto a trovarmi senza chiedere il permesso. Si è fatto strada passando sotto alla porta pesante di questa casa minuscola, che a volte non mi piace per niente, ma che mi è piaciuta abbastanza da lasciarmi alle spalle tutto, a suo tempo.
Ho voglia di parole, continuamente, perché il bianco mi appare ostile, ultimamente.
Oscillo pericolosamente tra il bisogno di raccontare storie ed il blocco che avverto quando provo ad ascoltarle. Ne sento l’eco lontana tra le costole, provo ad appoggiarvi le dita per afferrarle, ma non riesco a farmi largo, non posso tenerle ferme abbastanza a lungo da renderle reali.
C’è una paura affamata che lentamente mi divora i pensieri, da qualche tempo. Mi avvolge materna promettendo che se resterò ferma, esattamente qui dove sono e come sono, non accadrà nulla. E se non accade nulla, non accade nulla di male.
Ci sono giorni in cui scrollarmela di dosso è più semplice, altri in cui sembra terribilmente faticoso, ed il continuo lottare mi stanca le braccia, mi appesantisce, mi rende brutta.
Ho conservato un pacchetto pieno di speranza nella tasca di un cappotto che non posso ancora indossare, perché l’aria non è abbastanza fredda e le ombre sono ancora troppo corte. Ma apro l’armadio, di tanto in tanto, e le concedo una carezza furtiva, per ricordare a me stessa che c’è ancora, che è al sicuro, che non aspetta altro che io abbia il coraggio necessario a mostrarla al mondo, rivelandomi bellissima.

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Coseaccaso.

Il progetto iniziale (leggi: pensieri sparsi che mi tengono compagnia in bagno/al lavoro/alla fermata dell’autobus…) prevedeva la stesura di più posts, uno per ogni argomento: il racconto della mirabolante vacanza in camper; le risposte fantasiose ad uno dei giochini che girano su WP; gli aggiornamenti di dubbio interesse riguardo la mia vita quotidiana; riflessioni più o meno profonde sull’esistenza.
Ma questo era prima che mi arrendessi all’evidenza della mia innegabile pigrizia che, affiancata ad un invecchiamento precoce di cui mi sento vittima, mi impedisce ogni giorno di più di trasformare in atto pratico le mie già rare fantasticherie su attività diverse da lavoro-dormire-coccolare Anakin.
Quindi vi beccate un solo post, ma lungo e confuso (lo so già prima di scriverlo, sì.), che probabilmente mi farà perdere lettori.

Inizierò accogliendo la proposta dell’adorabile Emily di rispondere a qualche domanda che mi ricorda un po’ un gioco che facevo alle elementari, ossia il SE FOSSE.
Amo follemente queste cose, quindi vi invito a partecipare (non mi metto a nominarvi uno per uno, sentitevi pure chiamati in causa!) e soprattutto ad inviarmene altre!

1) Se tu fossi un romanzo?: “STARGIRL” di Jerry Spinelli.
2) Se tu fossi un film?: Elizabethtown.
3) Se tu fossi cattivo, dannatamente cattivo (da film, non personaggi reali)?: Gogo Yubari.
4) Se tu fossi musica?: Una volta mi è stato detto “Sei un pezzo rock ben riuscito.”, da qualcuno che poi ne ha scritti 2 su di me… molto ben riusciti! 🙂
5) Se tu fossi una fiaba?: “Nel paese dei mostri selvaggi” di Maurice Sendak.
6) Se tu fossi un’opera d’arte?: Sarei un’illustrazione di Mab Graves.
7) Se tu fossi un artista?: Sherri DuPree… magari!
8) Se tu fossi una poesia?: Non ricordo il titolo, ma sarei la poesia di Jim Carroll sulla pioggia.
9) Se tu fossi un colore?: Rosso e bianco.
10) Se tu fossi un profumo?: Il profumo della neve.
11) Se tu fossi un suono della natura?: Il suono di un temporale.
12) Se tu fossi un fiore?: Un fiore di campo.
13) Se tu fossi un animale?: Chiaramente un morbidino.
14) Se tu fossi una pianta?: Menta piperita.
15) Se tu fossi una pizza?: Una Margherita baby.
16) Se tu fossi un dolce?: Un cupcake coloratissimo!
17) Se tu fossi una bevanda?: Pumpkin Spice Latte.
18) Se tu fossi una salsa/un condimento per le patatine fritte?: Senape.

Speravo che le domande arrivassero almeno a 20, uff!
Ad ogni modo, andiamo avanti con gli sproloqui serali.

Pare che qualcosa di grosso si stia muovendo, lavorativamente parlando, ma non mi sbilancio ancora con i festeggiamenti, anche perché, in caso andasse tutto in porto, ci sarebbe di mezzo anche un’enorme e fastidiosissima grana da considerare… ‘nzomma meglio non pensarci ora, dai.
Continuo ad imbattermi in libri belli e difficilissimi da affrontare, ma che forse sono un piccolo aiuto in più in questo mio anno tremendo che ancora non riesce a scrollarsi di dosso le ombre.
A volte mi accorgo di colpo di quanto tempo sia passato, di quanto ancora ne stia passando, di quanto poco io riesca a sentirlo.
L’occhio cade sul calendario bruttino appeso in cucina e anche se legge “Agosto” la mente non lo registra, non se ne rende conto pienamente, nonostante il caldo, gli impegni, la fatica dei mesi accumulati sulle spalle.
Mi ritrovo a parlare di niente con chi mi passa accanto continuando a ripetere cose come “Sono qui da poco” o “Questo nuovo anno”, perché dentro di me sono ferma a Marzo.
Sono bloccata a quei mesi tremendi, come un orologio rotto, le mie lancette immobili al momento dell’impatto.

I 4000 km masticati dal camper malandato – metà scanditi dall’afa, metà inzuppati di gelo – mi hanno portata talmente lontano da farmi sentire l’odore di storie passate, finite, sepolte.
Non è stato facile come la volta precedente, ma è stato bello lo stesso, dopotutto.
Mi sono innamorata di Budapest, con quelle sue due anime ben distinte, eppure complementari; ho scoperto Praga in una lunga passeggiata costellata di guglie, dolci alla cannella e cattivi pensieri; Vienna è più grande e più ricca di quanto mi aspettassi, e mai avrei pensato di soffrire il caldo in Austria!; a Berlino darei un’altra chance, magari meno frettolosa, meno stanca, più pensata.
Sembra tutto già così lontano, eppure se chiudo gli occhi riesco quasi a toccare i bicchieri di ghiaccio dell’Ice Bar di Budapest, avverto il vuoto d’aria causato dalle giostre del Prater di Vienna, sento il sapore burroso dei croissant freschi di un piccolo forno sulle Alpi francesi, quasi posso accarezzare i gatti ciccioni del Cat Cafè di Praga, vedo l’immensa distesa di Berlino dal ventesimo piano di un palazzo universitario, mi si blocca un po’ lo stomaco all’idea delle porzioni XXXXXL del Waldgeist di Hofheim…
Invece sono qui dove l’Autunno è venuto a rassicurarmi per qualche giorno, avvolgendomi nel suo abbraccio umido di nebbia, per ricordarmi che presto tornerà, basta saper aspettare.

E in fondo io cos’altro ho da fare?
La sveglia alle 6.00, M. che parte, le fusa e i miagolii, due bimbe stupende, il caffè troppo caldo, i capelli impossibili, il telefono nuovo (*), le visite mediche, gli amici lontani, la musica sempre, i rifiuti e gli applausi, i vestiti più belli, i treni da prendere, i treni da perdere, prima o poi un idraulico, poche fotografie, i parenti in arrivo, i soldi che mancano, gli sguardi, l’inchiostro, la vita.

DSCF0834(*) Comunque sì, sono stata costretta a gettare all’Inferno il mio dannato telefono a causa di problemi di varia natura, quindi da ieri sono la timorosa proprietaria di un nuovo smartphone non troppo figo (ché qua mica si buttano i soldi!), ma apparentemente più fescion dell’altro e spero più duraturo.

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