Archivi del mese: novembre 2013

“…thank god it’s all about to end…”

Io dico solo, citando qualcuno più saggio di me, che le minacce di suicidio erano fuori moda già nel 2000.
Quindi faresti meglio a piantarla col vittimismo ed accettare le conseguenze delle tue DECISIONI.
Nella mia Terronia ti direbbero “chi t’ha strint’ u fronte?!”.
Ecco.

(E comunque, grazie per aver ispirato il testo del mio ultimo pezzo, almeno.)

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White.

Nevica. 🙂

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Tanti auguri a me.

WordPress se lo ricorda sempre, il nostro anniversario, mica come certi uomini protagonisti dei più squallidi luoghi comuni da scenetta comica!
Oggi festeggiamo il nostro secondo anno insieme.
Ed io che pensavo l’avrei abbandonato dopo un mese!

Auguri a me dai Merriment, con l’ultimo singolo.

https://soundcloud.com/equalvision/merriment-backwards

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Lèggere leggère.

In questo 2013 quasi da riporre in soffitta, ho letto più di 20 libri e stretto meno di 5 amicizie.
Magari è questo il mio problema. Ammesso che io ne abbia uno.
Ieri un ragazzo, alla fermata dell’autobus, mi ha detto, testuali parole: “Ma ti piace davvero così tanto leggere? Hai sempre un libro in mano, quando ti vedo. Non lo capisco.”
Ho sorriso e basta, per poi rituffarmi subito tra le pagine.
Che avrei potuto dirgli? Non l’avevo neppure mai notato, io. Che avrei potuto rispondere? Tanto “non lo capisce”, voglio dire.
Con i libri è più facile che con le persone.
Certi libri, quando finisco di leggerli, li abbraccio.
Li abbraccio sul serio, ovunque io mi trovi, per dirgli grazie.
Non è così facile essere altrettanto spontanei con le persone.
Ci sono regole, sottintesi, malintesi.
Con i libri è tutto chiaro. E’ tutto nero su bianco, niente scherzi.
E se ci sono sottintesi è solo perché ce li metto io stessa, tra le righe, nascondendo – o forse cercando – un pezzetto della mia vita, lì in mezzo.
Oggi ho abbracciato un libro appena finito, in treno, di ritorno dal lavoro.
Gli ho detto silenziosamente grazie anche perché mi ha regalato la sua ultima parola giusto in tempo per alzare gli occhi e vedere qualcosa di bellissimo, al di là del finestrino sporco.
C’erano banchi di nebbia ben definiti, piccoli, proprio sopra un fiumiciattolo appoggiato in un posto a cui non saprei dare un nome.
Se ne stavano lì, immobili, fluttuando sulla superficie dell’acqua come fantasmi indecisi sul da farsi.
Ho notato che nessuno, in tutto il vagone, stava approfittando di quel piccolo spettacolo inatteso.
C’erano poche persone e parlavano tra di loro, a gruppetti.
Il mio libro ha smesso di parlare al momento giusto, lasciandomi scoprire quel frammento di mondo così strano e perfetto, senza perdersi in futili chiacchiere.

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Roar.

Quando le domeniche vanno bene, non dovrebbero essere seguite dai lunedì.
Non da lunedì con sveglia alle 6.30, code immobili alla biglietteria, strilli strazianti al lavoro, vicini di casa invadenti, gatti irrequieti e piccole ansie generali.
E’ una consolazione perfetta, questa pioggia che canta.
Non si è fermata un istante, tutta la notte, tutto il giorno, tutto intorno.
Ha fatto da sfondo al ritorno a casa, cullando il profumo di cupcakes banana&nutella preparati in fretta, per regalarmi un capriccio e strappargli un sorriso, quando aprirà la porta.
Stavo quasi per lasciarmi andare ad una rabbia futile, oggi, ma poi ho pensato a Max, l’ho guardato urlare e correre con i suoi mostri selvaggi, ed è scivolato via tutto, insieme alle pagine.
Ruggisco alla vita, mentre la pioggia, ancora, canta.

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Casi Umani – Home Edition (Ep. 1)

Dopo l’indiscutibile successo delle rubriche CASI UMANI e CASI UMANI – JOB EDITION, non potevo trattenermi dall’aggiungerne una terza versione che, sicuramente, ha molto da offrire.
Come ho già scritto diverse volte, negli ultimi 8 anni della mia vita ho cambiato più case che colori di capelli (e voi sapete bene quanti colori siano passati sulla mia testa, quindi è tutto dire!).
Ed è proprio nel corso di questi anni da nomade che ho incrociato sul mio cammino dei personaggi perfetti per queste pagine virtuali.
Oggi ci soffermeremo sul primo, in ordine cronologico.
Senza ulteriori indugi…

EP. 1: LA CALABBBRESE (con 3 B).

Nell’ormai lontano 2005, dopo un primo mese di convivenza da guinness dei primati (4 persone stipate in 37 metri quadri. La veranda era più grande dell’INTERA casa!), io e LORO (ossia le mie 3 amiche di sempre) siamo giunte ad un’ovvia conclusione: dovevamo trovare una nuova sistemazione per iniziare seriamente la nostra vita di studentesse fuori sede.
Possibilmente non sull’Aurelia, a km dalla civiltà (fatta eccezione per il Mc Donald’s e le prostitute), e non in un minuscolo chalet all’interno di un gigantesco camping pieno di turisti che ci rubavano pure la carta igienica dalla finestra del bagno. (True story.)
Dopo frenetiche ricerche e brutte discussioni, come solo tra esperte drama queens di 18 anni, abbiamo dovuto accettare la dura realtà: in quel momento, con il nostro ridottissimo budget, era impossibile trovare una casa in cui potessimo stare tutte e 4.
Così ci siamo divise, ripromettendoci di riunirci appena possibile.
La Biologa e la Psicologa (non lo erano ancora, ma lo sarebbero diventate, n.d.r.) si sono trasferite in quella che, di lì ad un anno, sarebbe poi diventata la Nostra Casa per eccellenza, quella che ancora oggi mi fa venire i lacrimoni, a ripensarci, insieme ad altre 4 sconosciute.
Io e la Fotografa, invece, stavamo per iniziare una magica avventura che ci avrebbe unite per sempre!
L’appartamento era piccolo, vecchio, buio, con una splendida vista sui piedi dei vicini che passavano in cortile, con le sbarre alle finestre, un’orrenda carta da parati ed una sola altra inquilina, che poi era anche la padrona di casa: lei, la Calabbbrese.
Eravamo disperate e i corsi sarebbero iniziati di lì a poco, così abbiamo deciso di prendere la stanza, consegnandole una caparra pari all’affitto di un mese, senza firmare nulla, nella nostra infinita ingenuità, solo con la presenza di due finti parenti della Fotografa, come testimoni.
La Calabbbrese era “grande” ai nostri occhi, aveva 26 anni (se penso che adesso IO ho 26 anni ed indosso vestiti con gonna in tulle per andare al lavoro…) ed un mucchio di regole per il quieto vivere.
Ci ha accolte con quel suo sorriso ambiguo che avremmo presto imparato a conoscere e detestare, sottolineando che, di solito, scartava le matricole a prescindere, perché si tratta  sempre di persone inesperte e “piccole”, non abituate ad una convivenza civile.
Eravamo lì da due soli giorni e già ci stava esplicitamente provando col mio ragazzo di allora, facendo apprezzamenti e battute civettuole mentre lui ci aiutava con il trasloco.
Ma lei era “fidanzatissima”, da qualcosa come 6 o mille anni, con un suo conterraneo, quindi non dovevo preoccuparmi, per carità!
Ci vedevamo pochissimo, in giro per casa, così le mie fantasie di conoscere coinquilini simpatici e fare nuove amicizie andarono prontamente a farsi friggere, ma mi faceva piacere che non ci fossero problemi e/o ostilità.
Peccato che.
Un giorno apparve una lunga lettera in cucina.
Lei, la donna matura, ci teneva a puntualizzare su diverse cose che, a quanto pare, non stavano funzionando.
E, dall’alto dei suoi 26 anni, aveva pensato bene di farlo SCRIVENDOCI una letterina, anziché parlarci a quattr’occhi, semplicemente.
Noi non pulivamo bene gli spazi comuni; Noi avevamo pagato l’affitto in ritardo di un giorno; Noi avevamo lasciato UNA tazza sporca nel lavandino e lei si era vergognata di far entrare i suoi amici in cucina; Noi dovevamo imparare che vivere da soli significa prendersi delle responsabilità, comportarsi da adulti, blablabla!
Abbiamo riletto quella simpatica lettera più volte, cercando di capire se dovessimo sentirci in colpa o farci una risata.
Optammo per la risata.
La Fotografa, il giorno dopo, riuscì a beccarla prima che uscisse di casa, la placcò con gentilezza e le chiese spiegazioni.
La Calabbbrese era tutta un sorriso, “no, ma non ci sono problemi, era per dire!”, dopodiché non si parlò mai più della questione.
Iniziammo a scoprire diverse cose sul suo conto, anche se si sforzava di tenere la sua vita assolutamente segreta, parlandoci a malapena.
Una mattina, mentre cercavamo di studiare, dalla sua stanza iniziarono a levarsi rumori EVIDENTEMENTE associabili ad un’intensa attività sessuale, con tanto di versi da pornostar e molle cigolanti.
Ok, ascoltiamo la musica, allora!
Qualche ora dopo, avvenne il seguente dialogo in corridoio.
LEI: “Ciao, amore!”
LUI: “Ciao, che bello vederti!”
LEI: “Scusa per stamattina, dovevo proprio finire di studiare!”
(Usciamo dalla stanza per andare a fare pranzo.)
LEI: “Ah… eravate in casa…”
NOI: “Eh già… ciao, fidanzato!”
(Silenzio imbarazzante.)
Però lei era fidanzatissima e lui le chiedeva continuamente di sposarlo, eh!
Un giorno, stranamente, ci raccontò di dover affrontare un esame molto difficile (studiava Medicina) e di non avere proprio tempo per prepararsi bene (lavorava come cameriera).
Effettivamente, in casa non c’era quasi mai, e quando questo accadeva faceva tutto tranne che studiare.
Un giorno spuntò insieme ad un tizio molto, MOLTO vecchio.
Con tanto di capelli bianchi e linguaggio antiquato, che si presentò dandoci addirittura del Lei.
Era “un amico”, ci disse la Calabbbrese.
Se ne andarono in camera sua, dalla quale, di nuovo, sinistri rumori si facevano strada attraverso la musica che noi tenevamo sempre molto alta, dopodiché lei ne uscì con vestiti diversi, come se nulla fosse.
Il giorno dopo, raggiante, ci annunciò di aver preso 30 all’esame, e se ne andò a festeggiare.
Ancora oggi, noi siamo convinte che quel tizio fosse il professore, poi magari no, eh.

Ma il peggio doveva ancora arrivare.

Un giorno, in tutta fretta, preparò la valigia e se ne andò in Calabrifornia, per un matrimonio.
La sera stessa, mentre mangiavamo una pizza, notammo qualcosa di sospetto MUOVERSI in cucina…
Uno scarafaggio. Ok, che schifo, ma è uno scarafaggio, facciamoci coraggio, su.
No, aspetta, sono due.
Oppure… ehi, eccone un altro.
E un altro.
E un altro.
MOLTI altri.
Non quelli grossi e neri con la corazza tipo Terminator, eh, ma comunque schifosi da morire.
In cucina, poi!
Tra urla di terrore e panico, fuggimmo via, chiedendo asilo al mio ragazzo che, per fortuna, viveva da solo ed aveva abbastanza posti letto.
Provammo a chiamare la Calabbbrese un centinaio di volte, per avvisarla dell’invasione, ma il suo telefono era sempre spento o non raggiungibile.
Una quindicina di sms dopo, lo riaccese per qualche minuto, continuò a non rispondere, poi ci scrisse.
Eravamo delle esagerate, di sicuro ce ne sarà stato qualcuno perché in quella zona di Roma “è normale”, poi era colpa nostra perché avevamo certamente lasciato delle briciole, e cazzate simili.
Ah già, aveva deciso misteriosamente di prolungare il suo soggiorno dai parenti e quindi ciao, vedetevela voi!
La soluzione era soltanto una: tornare a prendere le nostre cose e fuggire via finché lei non si fosse decisa a mandare la disinfestazione.
(La casa era sua e noi eravamo povere, quindi non avevamo intenzione di occuparci del problema.)
Ci volle una settimana.
Non so perché, ma il mio ragazzo fu infinitamente paziente e non ci cacciò via (doveva essere molto innamorato, all’epoca, considerando il suo caratteraccio.), finché un giorno lei si decise a chiamarci.
(“No, ma non vi rispondevo perché mi si è rotto il telefono”, “Ma ci hai scritto degli sms.”, “No, ma si è rotto il caricabatterie.”, “Ma hai acceso il telefono, ci è arrivato il messaggio della Vodafone.”, “No, ma ho lasciato il telefono a casa.”... Vabbè.)
Il concetto più o meno era il seguente: “Ho chiamato la disinfestazione. Cioè un mio parente. Che più o meno se ne occupa. Sono andata a controllare con lui. Non era vero niente, siete pazze, non c’è bisogno di una disinfestazione. Ce n’erano solo pochi, ho messo qualche trappola. Il mio parente ha detto che è colpa vostra perché c’erano delle briciole nel lavandino e loro sono stati attratti da quelle.”
Non che ce ne fosse bisogno, ma a quel punto ci fu chiaro che da quella casa dovevamo andarcene al più presto.
Fortuna volle che, esattamente in quello stesso periodo, si stesse liberando una doppia nella casa in cui vivevano le altre nostre amiche, così decidemmo di prendere al volo l’occasione.
LA TRAGEDIA!
La Calabbbrese non era intenzionata a lasciarci andare!

Motivazione 1.
“Non potete andarvene così, mi serve almeno un mese di preavviso!”
“Sì, infatti andiamo via il mese prossimo.”

Motivazione 2.
“Il contratto dice che dovete stare qui un anno, sono passati solo 8 mesi!”
“Ma non abbiamo un contratto!”

Motivazione 3.
“Allora non vi restituisco la caparra”
“Allora chiamiamo i carabinieri. Gli farà piacere sapere che affitti una camera senza pagare le tasse.”
“Se li chiamate fanno la multa anche a voi!”
“In realtà no, ci siamo informate.”
“E chi lo dice che siete in affitto? Nessuno vi ha mai viste darmi dei soldi, dirò che siete delle amiche in visita!”
“I parenti della Fotografa ci hanno viste darti la caparra, possono testimoniare.”
“Ah sì? Denunciatemi pure, allora! Ho già avuto questi problemi e ho sempre vinto io!”
“Ah, quindi è proprio un vizio quello di fregare la gente.”

Motivazione 4.
“Comunque questa bolletta la dovete pagare tutta voi, perché io questo mese non sono quasi mai stata in casa, quindi mi dovete dei soldi prima di andare via.”
“Anche io lo scorso mese ho passato 3 settimane INTERE dal mio ragazzo, eppure ho pagato la bolletta lo stesso.”
“Sì, ma io ero fuori Roma.”

In conclusione.
La bolletta l’abbiamo pagata tutte, la caparra l’abbiamo riavuta senza chiamare i carabinieri, gli scarafaggi continuavano tranquillamente a convivere con noi senza pagare l’affitto, il fidanzato è riuscito ad ottenere un sì almeno alla convivenza, ignorando le sue ingombranti corna di alce.

Ti vogliamo bene, Calabbbrese, chissà dove sei adesso, quali anziani ti stai scopando allegramente, quali curiosi animaletti domestici allevi nella tua nuova dimora.

Categorie: Ordinary li(f)e | 5 commenti

Ecco perché lo amo. Tra l’altro.

“Sai… ho sempre pensato che scrivere fosse terapeutico. Ma forse mi sbaglio. Scrivere non è terapeutico. Scrivere è patologico. E non scrivi per risolvere niente. Scrivi per continuare a restare. A restare nel tuo tempo, nei tuoi vestiti, nelle tue insicurezze. Nel posto in cui ti conosci di più.”

[“OTTOLETTERE”, M. Motta]

Categorie: Beyond, Somebody told me | 7 commenti

“It’s oh so quiet…”

L’odore dei camini, i gatti sulla schiena, la panna nel caffè, l’agenda un po’ più vuota, la pelle di M., la FALLing Playlist…

Siate felici, oggi.

Categorie: Beyond, Imagine, Ordinary li(f)e | Lascia un commento

Una piccola curiosità.

Io dico solo questo, per fare un po’ d’informazione, ecco.

Ma voi lo sapevate che, controllando i commenti scritti sul vostro wordpress blog utilizzando l’app per smartphone (come sembro gggiovane!), visualizzerete automaticamente L’INDIRIZZO E-MAIL di chi li ha scritti, oltre al nickname?
No, perché io me ne sono accorta da UN SACCO di tempo. (Non che ci fosse bisogno di questo, eh, ma è solo un’ulteriore, piccola conferma.)

Ah, non lo sapevate?
Ma tu pensa, non l’avrei detto!

E qui il romanaccio mi torna in aiuto… ma che me stai a cojonà?
Non hai vinto, ritenta.

Categorie: io dico solo | 2 commenti

Sunday wish.

Oggi vorrei indossare il mio bellissimo vestito con stampa di gatti, cavalcare un unicorno alato fino alla Lapponia, giocare nella neve insieme agli elfi di Babbo Natale, mangiare dolci senza mai sentirmi sazia,  cantare fino a notte fonda con le fate ed addormentarmi in un letto gigante insieme ad un centinaio di morbidini.

E’ forse chiedere troppo?

Categorie: Beyond | 2 commenti

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